Libri senza parole: a chi fanno paura?

Ci sono delle tematiche che stanno particolarmente a cuore ad un libraio, sulle quali ragiona a lungo ponendosi molteplici domande.

Una di queste riguarda i libri senza parole, croce e delizia di chiunque si occupi di letteratura illustrata. Delizia perché i silent books (appunto libri senza parole) oggettivamente, quando ben fatti, sono una meraviglia per gli occhi e per lo spirito.

Croce perché sono molto difficili da far apprezzare e vendere, se non ad un pubblico già piuttosto esperto ed appassionato di libri per l’infanzia.

In effetti l’idea di un libro nel quale non ci sia scritto nulla è piuttosto strana e fa a pugni con l’idea convenzionale che ciascuno di noi ha dei libri.

Tuttavia se ci poniamo la domanda su cosa sia indispensabile che un libro faccia per potersi definire libro, credo ci troveremo tutti d’accordo sul fatto che un libro, per potersi definire tale, debba raccontare una storia.

E credo non sarebbe difficile nemmeno concordare all’unanimità sul fatto che esistano molteplici modi di raccontare una storia e che la parola scritta non sia che uno di questi modi.

Ecco che allora, fatte queste riflessioni, probabilmente risulterà già meno ostico concepire l’idea di un libro nel quale la storia non venga raccontata dal testo, bensì dalle immagini. Un libro nel quale la potenza delle illustrazioni sia tale, da non aver bisogno di un testo di accompagnamento, che andrebbe ad impoverire i contenuti invece che arricchirli.

Ho scelto, per trattare questa tematica, un silent book meraviglioso, Passeggiata col cane, appena pubblicato da Camelozampa editore, illustrato da Sven NordQvist.

L’ho scelto perché tutto ciò che stiamo dicendo si può evincere con facilità sfogliando questo libro. Guardiamone qualche pagina.

Questo è uno di quei silent che possiamo definire “brulicanti“, perché ogni pagina “brulica” di immagini, oggetti, personaggi, azioni, situazioni che fanno sì che intorno alla storia principale se ne possano rintracciare moltissime altre, tutte da “leggere”, scovare e intrecciare tra loro.

Così se la narrazione ufficiale, quella cioè in primo piano, riguarda un bambino che saluta la nonna per avventurarsi in una passeggiata col cane tutta da scoprire, intorno ad essa si snodano mille altre vicende che stanno sullo sfondo ma nel contempo sono intrecciate alla principale.

Ciò a dimostrare che un illustratore è a tutti gli effetti un autore, nella misura in cui narra una storia utilizzando semplicemente un differente codice narrativo rispetto alla lingua scritta.

Ma veniamo adesso alla domanda che mi sta più a cuore: perché offrire un silent book ai bambini? E prima ancora: perché scrivere o pubblicare dei silent books?

Rispondere in modo approfondito a queste domande richiederebbe moltissimo tempo, ma di seguito voglio individuare in due punti ciò che rende le storie senza parole dei grandi libri.

  • Abbattono qualsiasi barriera linguistica e sociale. Basti pensare al progetto Ibby “Libri senza parole. Destinazione Lampedusa” , nato nel 2012 nato con l’idea di selezionare i migliori silent pubblicati in tutto il mondo per creare una biblioteca per l’infanzia e l’adolescenza a Lampedusa.
  • Lasciano i bambini liberi di esplorare e narrare sperimentando un codice narrativo diverso che pur avendo le proprie regole, dona maggiore libertà di azione al lettore, narrando mille storie invece di una.

Quindi, venendo alla domanda inizale: Chi ha paura dei libri senza parole?

Sicuramente non i bambini, che con il giusto approccio sono capaci di trascorrere intere ore su una sola pagina, cercando storie, oggetti e particolari.

Nel fare ciò sono propensi, dalla mia esperienza, soprattutto i bambini in età prescolare, forse non ancora troppo condizionati dalle regole della narrazione testuale.

Ma soprattutto ad averne paura sono gli adulti, che perdono la sicurezza della storia comunemente intesa, con inizio, svolgimento e conclusione preconfezionati, rassicuranti e non soggetti ad interpretazione. A loro è richiesto lo sforzo maggiore, quello di abbandonare il sentiero già battuto, per avventurarsi in strade che, eliminata la reticenza iniziale, possono condurre assai lontano.